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Autore: Compagnia Lyria

Sguardi Attraverso | Testimonianza di una ex detenuta

Con la danza per mano cammino nella vita

Tutto è iniziato con un incontro.
Giulia Gussago è venuta a Verziano, dove io ero a quel tempo, come tutti sapete, e ha proposto la partecipazione a un laboratorio di danza.
All’inizio sembrava un gioco, l’ho presa con leggerezza, ma poi, mano a mano che le sedute procedevano, che si facevano prove e si lavorava insieme, ho capito il senso del progetto e ho valutato l’importanza che esso aveva, in sé e nella mia vita.
Quando la mia reclusione a Verziano è finita, e sono uscita, ho voluto di mia spontanea volontà continuare a partecipare al progetto, da persona libera. E ancora continuo.
Ho imparato tanto.
Prima di tutto il valore della libertà. Ho sperimentato la libertà.
Ho vissuto poi il valore dell’accoglienza. Sono stata accolta a braccia aperte da tutte le persone che partecipavano al progetto e ho capito la possibilità dell’accoglienza da parte della società e quanto ciò dipendesse dalla mia volontà di essere accolta.
Inoltre ho sentito quanto fosse importante l’imparare, perché ogni volta che venivo a far parte del lavoro del progetto, acquisivo qualcosa di importante per me, per la mia vita.

Il mio “sì” alla proposta di Giulia Gussago è stato carico di entusiasmo, perché pensavo che la musica e la danza non potevano che rendere più bello un ambiente grigio e triste qual è il carcere.
Certo, prima di iniziare non potevo sapere che la danza proposta nel laboratorio fosse così liberatoria e coinvolgente. Conoscevo altri tipi di danza, quella delle discoteche, quella classica, quella contemporanea, ma fui sorpresa quando sperimentai la danza come libera espressione.
Le tre ore che passavamo nelle sedute del progetto erano ricche di gioco, di riflessioni, di impegno, di divertimento autentico e di apprendimento. Era bellissimo, bellissimo, bellissimo.

Quando sei “dentro”, quando vivi l’esperienza della reclusione, e incontri persone che vengono da “fuori” a lavorare con te, senti arrivare l’aria della libertà e pensi allora che sì, è possibile tornare liberi, che bisogna tener duro, non mollare.
L’aiuto morale che ricevi è decisamente significativo: per te che aspiri alla libertà, alla possibilità di riprendere in mano la tua vita, partecipare a questo progetto ha un grande valore simbolico.
Ogni volta che salivo nella palestra dove danzavamo, significava un passo in più verso la libertà.
Nella prima edizione del progetto, per esempio, ci hanno dato un rotolo di carta di 30 metri sul quale dovevamo disegnare tutto quello che ci passava per la mente e…lasciare emergere tutto ciò che si sentiva che mancava nella vita da reclusa. È stato molto importante perché mentre sceglievo cosa disegnare e davo forma ai miei disegni, alle mie parole, prendevo consapevolezza dell’importanza che avevano per me la libertà, la famiglia, i figli, e tanto altro.
L’emozione che provi, poi, quando il tuo lavoro viene condiviso e diventa uno spettacolo è talmente intensa e inattesa che gli applausi e i complimenti che ricevi dal pubblico risuonano dentro di te come se avessero dell’incredibile.
“Siete state brave, bravissime!”
E senti che gli spettatori lo dicono, non per convenzione, ma perché hanno vissuto con te ogni attimo dello spettacolo, ogni gesto della tua danza, ogni scena rappresentata.
E’ stato fantastico, meraviglioso.
Rivivo ancora oggi, dentro di me, quei momenti, con la medesima emozione.
La scoperta di aspetti di sé, che erano rimasti nascosti fino ad allora e che sulla scena avevano invece la possibilità di essere espressi, ha avuto un’importanza fondamentale nella conoscenza della mia personalità e delle mie potenzialità.
Questo vale per me e per tutte le altre ragazze che hanno partecipato con me alla danza.
Certo, per aderire alla proposta di Compagnia Lyria era necessario avere coraggio, rischiare anche l’insuccesso, le critiche dei compagni di reclusione, ma poi, davanti a tanti applausi e alla bellezza di quanto abbiamo portato in scena, provavo tanta soddisfazione e gratificazione per l’impegno profuso.
La fatica, la paura, la tensione, sparivano per dare spazio ad una grande gioia.

Altro aspetto qualificante del Progetto Verziano è stata la sua progressiva apertura su diversi fronti. Nel primo anno eravamo solo ragazze, poi invece è stata aperta anche ai ragazzi la possibilità di partecipare.
Un’apertura coraggiosa che ha cambiato il nostro stare insieme, nel laboratorio e sulla scena.
Inoltre, lo spettacolo inizialmente veniva rappresentato davanti ad un pubblico composto da detenuti e dal personale carcerario, ma progressivamente è stato portato davanti a platee nelle quali erano presenti anche persone che venivano da fuori, persone libere, e questo è stato un valore aggiunto molto importante.

Quando poi io stessa sono tornata ad essere una persona libera, cioè ero fuori da Verziano, ho voluto continuare a partecipare al Progetto di danza ed ho fatto richiesta alla dott.ssa Lucrezi di poter proseguire l’esperienza, anche da esterna.
Ero felice, felice, quando ho saputo che la mia richiesta era stata accettata!

Vivere una esperienza di libertà quando sei “dentro” significa molto.
La vita nel carcere è regolata da obblighi.
Nel laboratorio di danza sperimenti la libertà di essere ciò che sei: puoi
urlare,
cantare,
ridere,
piangere,
perchè attraverso la libertà del gesto e del movimento metti in armonia il tuo essere interiore con la sua manifestazione esteriore. La danza unisce perché si crea un contatto emotivo che ti dà tanta gioia, tanta felicità.
Senti la persona che si muove accanto a te e entri in una modalità di comunicazione empatica che è più profonda di quanto possa essere quella fatta con le parole.
È difficile raccontare ciò che succede in un laboratorio di danza, ciò che succedeva nel corso degli incontri, così come è difficile esprimere verbalmente tutto ciò che questo progetto dà a chi lo vive in prima persona.
È l’arte in sé a creare legami, la danza in sé.

Certo non mi aspettavo di fare queste scoperte, perché inizialmente mi rifacevo ad esperienze già vissute di balletto, di musica classica… Invece…è stato tutto diverso, molto più impegnativo ed emotivamente coinvolgente.
Ogni incontro aveva un suo sviluppo creativo e le proposte spaziavano dal movimento alla scrittura, dal disegno al colore, dal teatro alla danza, e così via.
Una volta Giulia ha proposto delle poesie. Le due “haiku” su cui dovevamo lavorare sono state illuminanti: bellezza e silenzio.
Non poteva scegliere meglio. Per me erano il massimo.
Da lì è partito tutto.
Nel corso del laboratorio mi è stato chiesto di descrivere la BELLEZZA.
La bellezza per me è tutto. La sincerità, la bellezza interiore, questo è.
Tutti pensano all’esteriorità, nessuno pensa all’interiorità, ma è l’aspetto più importante della persona.
Molti vivono in questa epoca senza darsi il tempo di pensare cosa sia la bellezza, ma…se ci pensiamo bene, alla fine come rispondiamo alla domanda: “Che cos’è la bellezza interiore?”
È l’anima della persona, il suo concetto del vivere. L’essenza.
Nel primo spettacolo ho anche recitato quanto avevo scritto, ho dovuto memorizzarlo e poi esporlo davanti alla platea e l’emozione che ho provato è indescrivibile.

Mi è stato chiesto poi di descrivere il SILENZIO.
Il silenzio. Il silenzio è una bellezza tacita.
Aiuta a meditare. E’ sempre collegato alla bellezza perché quando sei sveglio di notte e tutto intorno a te tace e non si sente alcun rumore, tu vivi una esperienza di bellezza che ti aiuta a vedere con gli occhi della mente e pensi.
Pensi a quello che hai passato nel corso della giornata, per esempio, pensi e ripensi al tuo passato, al tuo futuro.
È un silenzio bello, alla fine.
Non è un silenzio angosciante.

Il percorso personale che ho maturato nel corso del progetto è stato impegnativo, oltre ogni aspettativa.
Siamo partiti con un gruppo di persone, inizialmente solo donne, ma poi, di anno in anno, il progetto ha assunto dimensioni sempre più grandi, sia includendo tra i partecipanti gli uomini prima e le persone esterne poi, sia diventando sempre più complesso nella elaborazione dei temi e nelle modalità.

L’essenza del progetto non è cambiata, si è mantenuta fedele ai principi che l’hanno ispirata, però la sua realizzazione ha trovato sempre nuovi temi, nuove musiche, coreografie e palcoscenici diversi. E così, ogni anno, anche l’emozione era diversa e imparavo nuove cose.
Voglio ringraziare la Compagnia Lyria e tutte le persone che hanno aiutato nella realizzazione del progetto, che l’hanno reso possibile: a Direttrice del carcere, dott.ssa Lucrezi, la Presidente del Tribunale di sorveglianza, dott.ssa Lazzaroni, l’educatrice Silvia Frassine e tanti altri.

L’essenza del progetto è difficile da definire. Ciò che so è che coinvolge totalmente, cambia la persona e nel mio caso il cambiamento è stato decisivo.
Quando sono uscita dal carcere, finalmente libera, mi sono posta la domanda:
“E allora, io sono fuori. Cosa faccio?”
E così ho cominciato a pensare, a ricordare ciò che avevo vissuto nel progetto, ciò che ero riuscita a fare.
E mi sono detta: “Io ho coraggio, prendo la mia strada e vado avanti” e sono andata avanti.
E così ho scoperto che il mio coraggio, quello che mi ha permesso di non tirarmi indietro, né davanti al riconoscere gli errori del passato, né davanti alla proposta di un progetto nuovo e diverso come quello della danza, mi permette ora di andare avanti nella vita con la testa alta.
Ho detto a me stessa: “Sì, ho sbagliato, però mi potete guardare come una persona normale.
Io respiro, penso, vivo come tutti gli altri.”
Come avevo sperimentato nella danza la forza del coraggio, così la sperimento nella mia nuova vita.
La danza è per tutti. Non importa se sei un ex-detenuto, non importa se hai una malattia, se sei disabile… la danza è per tutti.
Tutti siamo persone.
L’arte è una via che permette di comunicare questo valore.
Il valore della persona, di tutte le persone.
La creazione artistica nella danza ti fa sentire parte del mondo nel momento stesso in cui agisci, ti muovi con gli altri, crei con i tuoi gesti e i tuoi movimenti una scena, un tutto che ti appartiene e di cui sei parte.

Ricordo un lavoro fatto con la carta. Carta di colore bianco. Abbiamo fatto tutto con questa carta bianca, anche un cappotto che indossavo quando entravo in scena. Era bellissimo sentire il frusciare della carta nel silenzio totale della scena, sentivi anche il respiro di chi era vicino a te. Lascio immaginare l’effetto che faceva sugli spettatori la bellezza fantastica di quanto stavamo rappresentando.
Vedevo negli occhi di chi guardava la curiosità e la sorpresa di fronte a tanta bellezza.
“Ma cosa sono capaci di fare queste donne!”
Meravigliati di fronte allo spettacolo che stavamo realizzando. Increduli forse, ma estasiati.
E così, di anno in anno, di spettacolo in spettacolo, siamo arrivati alla decima edizione di questo fantastico progetto.
Una interruzione l’abbiamo avuta con la pandemia dovuta al Covid, ma con l’anima, con il cuore, con le lettere che ci siamo scritti, siamo riusciti a stare insieme.
INSIEME, si può fare tutto.
Certo, nella vita ci sono cose che puoi fare da solo, ma in questo progetto facciamo cose meravigliose, insieme.
Con l’aiuto di Giulia Gussago, la nostra coreografa, naturalmente. Lei fa tutto per noi e noi diamo il meglio di noi stesse.
Quando non ho potuto partecipare ai laboratori di danza per motivi di salute, ho fatto in modo di essere sempre presente agli spettacoli che venivano rappresentati alla fine dei laboratori e ogni volta provavo ammirazione per il lavoro fatto e un grande dispiacere per la mia mancata partecipazione. Mi rendevo conto di aver perso qualcosa di bello e di importante, mi mancava la soddisfazione di aver svolto un lavoro fantastico insieme.
Quando raggiungi la conclusione del percorso e presenti al pubblico l’opera d’arte collettiva cui hai partecipato provi emozioni inimmaginabili e indescrivibili: sai che sei guardata da tutte le parti e devi dare il meglio di te.

Quando poi sono uscita dal carcere e ho partecipato a due rappresentazioni, una al Castello di Brescia e una presso la Facoltà di Giurisprudenza, ho percepito nettamente la differenza tra “essere dentro” ed “essere fuori”.
Io ero una persona libera, potevo lasciare la compagnia alla fine dello spettacolo e tornarmene a casa in auto, guidando nella notte lungo le vie che scendevano dal colle Cidneo.
Le mie compagne no. Le guardavo salire sul pullman che le riportava in carcere e provavo tristezza e amarezza per questo. Mi faceva star male il pensiero di non poter aiutare le ragazze, le persone con le quali avevo condiviso un pezzo di strada in una istituzione come il carcere.
Cercavo di incoraggiarle dicendo loro che dovevano tener duro, che sarebbe arrivato anche per loro, prima o poi, il giorno dell’uscita.
Non mollare! Mai! Questa è la cosa più importante.
Bisogna avere il coraggio di riprendere da zero, tutto. O meglio: bisogna riprendere da dove si è staccato il filo e da lì ricominciare.
Si può fare. Lo dico per la mia esperienza. Sono una testimone di questa possibilità e ho la dignità di affermare che, anche se ho sbagliato, ho diritto di vivere, di andare avanti.
Da quando sono uscita ho avuto il coraggio di fare cose importanti: ho frequentato il “Corso di soccorritore” in Croce Bianca ed ho superato l’esame finale.

Questo passo importante nella mia vita è stato ispirato dal Progetto Verziano, perché ho capito quanto sia essenziale dare aiuto alle persone deboli.
Noi eravamo persone deboli, perché eravamo “chiuse“. La proposta del progetto è arrivata dentro al carcere e, attraverso la danza, ci ha dato aiuto.
Ci ha sollevato il morale, ci ha dato la possibilità di sperare, di sognare anche, di aver la forza di percorrere la propria strada.
Ecco perché non potrò mai dimenticare ogni singolo momento del progetto, né vorrò lasciarlo.
Ho imparato molto e ogni anno imparo qualcosa di nuovo.
La danza mi accompagna e mi dà la forza di non mollare.

Forse nemmeno Giulia immaginava quale sviluppo travolgente avrebbe avuto il Progetto Verziano.
Man mano che il progetto si sviluppava si chiariva sempre di più anche il senso che esso aveva per me, per noi. Si trattava di portare avanti un lavoro di riabilitazione morale che passava attraverso la danza e conduceva alla consapevolezza della propria dignità di persona.
Io sono un testimone vivo di un cammino verso la presa in carico della propria vita, fatto con coraggio e forza di volontà.

Altro punto importante: abbiamo raccolto in un libro le impressioni, le sensazioni, i pensieri che venivano sollecitati in ciascuna di noi dalla danza e dalla esperienza del laboratorio: è un libro a cui tengo molto, diciamo che è “il libro del mio cuore”. E’ un dono prezioso che ciascuno di noi può portare con sé, per tutta la vita.

Ci sono stati momenti d’incanto.
Una sera, al Castello di Brescia, all’aperto, ho partecipato allo spettacolo che concludeva il progetto dell’anno.
Tutto era bello: lo spettacolo, le luci, l’atmosfera magica e affascinante che si veniva a creare, l’aria della sera.
Oltre a danzare, io recitavo dei paragrafi.
E quando dissi: “Adesso fermati, respira e soffia”… caddero le luci, buio, solo il cielo e le stelle.
Poi le luci si riaccesero e…l’applauso del pubblico esplose con fragore.
E’ stato un momento magico, indimenticabile!
E devo dire che ho tanti ricordi stupendi, davvero. Di momenti irripetibili, significativi, importanti e belli ne ho vissuti tanti con questo progetto. Non c’è momento del percorso fatto che io non voglia ricordare. Anzi, conservo in me ogni momento, ogni insegnamento.
Mi fa da guida.
Ecco perché voglio ringraziare tutti, tutti, tutti.
Tutti coloro che ci aiutano a portare avanti questo lungo viaggio e in particolare Giulia Gussago e la Compagnia Lyria.
È tutto un insieme di anime, di persone meravigliose che ci stanno accanto, sempre.

*Per ragioni di privacy il nome Daniela è di fantasia

 

Anno 2020 | Progetto Verziano 10^ edizione
Raccoglitrice di storie: Piera Milini

Circolo di scrittura e cultura autobiografica di Brescia
LUA Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari

La rubrica Sguardi attraverso è creata nell’ambito del Progetto Verziano 11^ edizione, realizzato da Compagnia Lyria e Ministero di Giustizia Casa di Reclusione Verziano Brescia, grazie al contributo di Comune di Brescia, Provincia di Brescia, Fondazione Comunità Bresciana, Ordine degli Avvocati di Brescia, Centrale del Latte di Brescia e in collaborazione con LABA Libera Accademia Belle Arti, LUA Libera Università Anghiari-Circolo di Brescia, Palazzo Caprioli, APS Libertà@Progresso e Istituto Lunardi. Gode del patrocinio di Fondazione ASM, AIIMF Associazione Italiana Insegnanti Metodo Feldenkrais e Consigliera di Parità della Provincia di Brescia.

Sguardi Attraverso | Testimonianza di un detenuto

Incontrarsi

Tutto ebbe inizio perché lessi un annuncio scritto su una locandina appiccicata alla bacheca, dove di solito si trovano informazioni di vario genere. Parlava di danza, di un progetto inerente la danza. Ho letto l’annuncio e mi son detto “Perché no? Perché non provare?
Chissà se mi potrà piacere… mi metto in gioco… io ci provo!”.
Ballare non mi era estraneo; quando stavo fuori non mi dispiaceva frequentare locali da ballo ed in particolare mi piaceva molto la musica e i balli latino americano.
Da diverso tempo, le mie giornate sono accompagnate dalla musica, una delle poche cose che mi aiuta a trovare la tranquillità. Il mio stress se ne va. La musica mi aiuta ad avere un equilibrio; essa è spazio di cura di me. Ascolto musica quando scrivo, quando disegno, quando devo pranzare. Tutta la mia giornata è scandita dalla musica. Insomma mi sono iscritto al progetto. E ci ho provato. Una, due, tre volte e poi ho proseguito.
Il primo incontro…mi restano nel ricordo non solo i volti dei volontari, i loro occhi, ma anche una emozione legata alla relazione, in particolare. Rimasi molto colpito da come, sin da subito, io mi sentii a mio agio. Cos’era questa cosa? Come mai poteva accadere? Mi sentivo uno di loro. In questo luogo dove spesso si sperimenta la restrizione nella restrizione, avevo incontrato persone con le quali mi sono sentito libero di parlare di emozioni. Nel tempo ho confidato loro pensieri che non sapevo a chi dire. Mi ascoltavano, mi capivano. Coglievano i miei momenti e sempre mi hanno donato parole. Anche loro si esponevano. Io, noi, eravamo dei reclusi e in quante occasioni non erano mancati pregiudizi nei nostri confronti. Ed invece questi, che venivano per farci danzare, non creavano differenza noi-loro. Li guardavo e sentivo che si esponevano nella loro capacità di essere “esseri umani” disponibili ad accogliere senza giudizio il prossimo. In fondo chi non potrebbe sbagliare? Ho sentito di essere accolto nella mia intera umanità, di vizi e virtù, e compreso. Con ogni persona che ho conosciuto, ho potuto esprimere tutto me stesso. Ma di quel primo incontro non dimentico Giulia, la sua schiettezza nel proporsi e la sincerità a noi richiesta nell’aderire o meno alla proposta. “Questo è il nostro primo incontro…se pensate possa interessarvi allora proviamo una due volte… chi vuole, bene, chi non vuole rimane fuori…”. Era il 2018 ed ora sono passati circa tre anni.

I muri diventano polvere e le sbarre diventano acqua

Mi sembrava di vivere un’esperienza eccezionale. Danzavo e trovavo il modo per esprimermi, per dirmi. Danzare era evasione. Qui non c’è molto modo per sentire cosa accade là fuori, cosa c’è nel mondo. Danzare mi permetteva di oltrepassare i muri. Non vedevo materialmente il mondo fuori, ma mentalmente sì. Ecco che la danza mi faceva uscire. Come se con la danza i muri si abbattessero. Non esistono i muri, non li sento più; i muri diventano polvere e le sbarre diventano acqua. La danza era la possibilità di immaginare uno spazio aperto. Ma allo stesso tempo, questa straordinaria esperienza, mi faceva sentire l’evasione da me stesso e l’unione con i miei compagni di danza. Essere unito a loro e, nello stesso tempo, evadere da me stesso. Uscire da me stesso, esprimere quanto vive dentro me stesso, sia in senso fisico che psicologico che comunicativo.
Evadere da me stesso per incontrare me stesso e stare bene con gli altri.

La danza è nello sguardo

Il corpo si lascia andare. Brevi e semplici note. Semplici sguardi. Guardarsi e sentire. Capisco, quando guardo l’altro negli occhi, che posso muovermi ed esprimermi. Solo guardandolo. Essere guardato, anche. Lo sguardo nell’incontro è importante. Forse è l’incontro. Dallo sguardo, da quelle fessure, capisci l’altro. Non riusciremo mai a cogliere un’altra persona sino in fondo perché essa è un mistero; però qualcosa, una piccola nota riusciamo sempre a percepirla; ecco con lo sguardo durante la danza questo accade. Io l’ho sentito dentro questi miei compagni di danza. Lo sguardo, l’occhio mi permette di entrare per uno spazio di tempo in contatto con un’altra persona… lo sguardo ha più parole della bocca. D’altra parte quando parli con una persona e questa non ti guarda ma volge lo sguardo altrove è perché non vuole farsi riconoscere, non vuole che tu entri in lei. È anche una questione di intensità dello sguardo. Allora non c’è bisogno di parlare, già sai.
La danza è una danza di sguardi. Ci troviamo davanti un’altra persona e gli sguardi ci orientano per rendere possibile l’incontro così come esso deve essere, senza calcolo.

Porgere e prendere una mano

Un gesto… la Susi… quando arriva io la prendo e la faccio girare. Per me un gesto che ha un significato. Nel danzare qualsiasi gesto ha un valore. Ecco la mano che avanza da me e va verso l’altro. Vuoi stare vicino a me? Mi accogli? Porgo la mano e esprimo tante parole ed emozioni. Io pongo la mano e l’altro? È un gesto che chiede coraggio… mi accetti? Tutto diventa quell’attimo; essere ciò che si è con tutto il passato, il presente, il futuro. La persona nella sua interezza.
Non funziona il giudizio in quel momento. Io porgo la mia mano con coraggio. Io ci sono… e tu ci sei? Io ci sono, ci provo a farmi avanti anche se c’è il rischio che tu non mi accetti… nella mia interezza vado verso il mondo… Quella mano è per me il mondo. Porgere la mano come andare verso il mondo, il coraggio di vivere e camminare.
Ho avuto tantissimi anni di reclusione e mettermi in gioco non è stato facile…ma non è stato impossibile. Sono riuscito a porgere la mano. Ci sono state mani che danzando mi hanno accolto.
Questo coraggio è venuto da dentro, dal mio profondo essere. Non ci ho pensato, è stato immediatezza emotiva. Dopo 20 anni di reclusione questa relazione di corpi, mi ha permesso di maturare. Danzare mi ha aiutato a cambiare. Per me, così chiuso in me stesso, lavorare sul corpo mi ha permesso di aprire la mente i sentimenti… e anche l’amore.

L’amore non è cieco

Ho conosciuto per tanti anni solo la mia cella, le mie quattro mura. Adesso mi sono esposto con una persona e sto vivendo bellissimi momenti. Non lo avrei mai immaginato. Sto scoprendo di essere capace di fare cose che non avrei mai pensato di saper fare. Sto andando a scuola; frequento le medie. Avevo paura di andare a scuola perché io non so far niente. Nella mia infanzia difficile a scuola ci sono andato più gonfio che sgonfio. Non riuscivo a imparare nulla; a volte per la vergogna non ci andavo neanche a scuola… perché ero talmente gonfio…Mettermi in gioco ora per andare a scuola è un altro modo di camminare verso di me e verso il futuro. Ho superato la paura di non essere capace, di sentirmi ridicolo e adesso da tre mesi vado a scuola ed ho già preso tre sei.
Da una parte la danza come energia che ha messo in movimento l’apertura; ero chiuso e la danza mi ha permesso di aprirmi, dall’altra energia per reinventarmi attraverso la scuola.

Autoritratto

Due occhi e il mare…

Questa danza è come una colomba. Porta la pace e la libertà, vola ed è libera.
Cosa c’è di più puro di una colomba.
Li aspetto, mi hanno fatto star bene, torneranno i danzatori.

*Per ragioni di privacy il nome Fausto è di fantasia

 

Anno 2020 | Progetto Verziano 10^ edizione
Raccoglitrice di storie: Ludovica Danieli

Circolo di scrittura e cultura autobiografica di Brescia
LUA Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari

La rubrica Sguardi attraverso è creata nell’ambito del Progetto Verziano 11^ edizione, realizzato da Compagnia Lyria e Ministero di Giustizia Casa di Reclusione Verziano Brescia, grazie al contributo di Comune di Brescia, Provincia di Brescia, Fondazione Comunità Bresciana, Ordine degli Avvocati di Brescia, Centrale del Latte di Brescia e in collaborazione con LABA Libera Accademia Belle Arti, LUA Libera Università Anghiari-Circolo di Brescia, Palazzo Caprioli, APS Libertà@Progresso e Istituto Lunardi. Gode del patrocinio di Fondazione ASM, AIIMF Associazione Italiana Insegnanti Metodo Feldenkrais e Consigliera di Parità della Provincia di Brescia.

Sguardi Attraverso | Testimonianza di una detenuta

Una scuola di danza…nel cuore

Conoscenza del progetto: ingresso posticipato

In realtà sono venuta a conoscenza del progetto tramite l’esperienza delle altre ragazze. Un po’ la chiacchiera, un po’ il confrontarsi su determinate cose, soprattutto con quelle più anziane, anziane di carcere non in senso anagrafico; in particolare con Maria* che praticamente mi ha raccontato dell’esperienza che per lei era stata molto forte. Poi ho partecipato ad un incontro che hanno organizzato qui in carcere per la visione collettiva del video, la prima versione, per cui stiamo parlando di maggio 2019. Era un mese che stavo qui, mi sentivo un minimo spaesata, anche se in realtà tendo sempre ad agire prontamente a tutte le situazioni, anche le più diverse. Vedendo questo video ho provato delle sensazioni forti, tant’è che inizialmente, essendo estate, era giugno o luglio, presumendo ci fosse la pausa estiva, mi sono detta che ci avrei pensato su se partecipare o meno l’anno prossimo.

La prima volta: dalla fabbrica di rabbia a queste facce

Nel gruppo ho visto delle facce che ispiravano sicurezza, pace e tranquillità, cosa che mi era venuta a mancare. Io qui la chiamo la fabbrica della rabbia, perché la maggior parte delle persone sono rabbiose, sono incazzate con sé stesse e con il mondo. Io questa fase per fortuna l’avevo già superata, perché penso che sei a prescindere da quello che hai fatto. Quindi per questo che, nella fabbrica di rabbia, aver trovato dei visi diversi rispetto alla maggior parte di quelli che vedevo, mi ha fatto bene ed anche venire a contatto con persone esterne.

Entrare in punta di piedi

Ho cercato innanzitutto di vedere, di stare un po’ in ombra perché volevo capire che cosa fosse per me. Mi rendo conto che un’attività può essere non mi dia niente, che non mi dia beneficio, quindi mi sono data del tempo per capire se era o meno la cosa giusta per me. Alla fine lo è stata. Un po’ lo paragono alla meditazione Quando la facevo fuori, per i primi due mesi non ero mica convinta che fosse una cosa buona, invece poi mi ha fatto bene e ho detto ok. Così per la danza, qui c’è stata una valutazione molto più veloce, mi ha fatto subito bene perciò è bastato un attimo per continuare. La danza può dare quella cosa in più che nessun’altra attività ti potrebbe dare: questa gestualità, il mettere in scena determinate emozioni, eventi, racconti, per me è una doppia elaborazione attraverso il mio vissuto. Poi vedere gli altri che cosa mettono in atto, come performano una determinata situazione. Perché lo fanno così? E perché lo faccio io così? Mi sono fatta un sacco di domande.

Incontrare il linguaggio del movimento e della parola

Mi è piaciuto molto, l’ho scoperto ultimamente. Ho visto che la scrittura è un modo non solo per fare star bene gli altri, dal momento in cui gli indirizzi dei pensieri, ma è un tirare fuori qualcosa che hai dentro. Ad esempio, io posso pensare determinate cose, posso fare alcune riflessioni, però fino a che non sono scritte nero su bianco, per quanto mi riguarda, è come se non esistessero, restano solo dentro di te. Invece è come se con la scrittura riesci ad esternare quello che provi; è proprio così, adesso che lo trovo scritto è in effetti quello che provo veramente, magari è una sciocchezza ma è quello che penso.

Da aprile ogni giorno sto scrivendo una lettera di almeno quattro cinque facciate, cosa che appunto mi ha fatto bene. Ci sono dei momenti in cui non riesci a parlare con qualcuno, così la scrivi anche se è più breve. Se io parlo con te di una cosa mi posso dilungare molto, invece scrivendola ti permette di cogliere i tratti essenziali di un determinato momento. Noi dentro siamo costretti a comunicare tramite scrittura.

Ho tratto beneficio sia dalla scrittura che dal movimento che è come un parlare. In realtà anche il movimento ha un potere molto forte alle volte, molto più delle parole. I gesti ti permettono di elaborare sensazioni e sentimenti attraverso la tua esperienza e trasmettere agli altri quella che per te è una specifica emozione; così come vedere negli altri quello che per loro rappresenta la stessa emozione. Sono movimenti diversi che però vengono dalla nostra conoscenza, un confronto tra esperienze di vita.

Come si chiamava l’inventore di quegli esercizi che a volte ci faceva fare Giulia Gussago? Ah sì, il metodo Feldenkrais, non so per quale motivo ma è una magia. All’inizio ti sentivi in un modo e dopo ti sentivi in un altro, questa cosa mi è piaciuta tanto.

Lavoro di squadra

Tutto il lavoro fatto, dal movimento, al mettere nero su bianco, fino al condividere è stato fondamentale, un lavoro di squadra. Ho sentito che eravamo un gruppo, cioè siamo un gruppo e questo è tanta roba!

Nonostante gli incontri siano stati pochi, mi sento proprio di dirlo perché lo percepisco e il ritrovarsi la scorsa settimana, anche se via Skype, è stato come parlare dopo un giorno che c’eravamo lasciate, non dopo tutti questi mesi. È vero abbiamo mantenuto i contatti epistolari però mi è sembrato di parlare con persone che conoscevo da anni. Non c’era quel disagio, quell’imbarazzo di persone che non si conoscono bene, c’è stato subito un contatto immediato. E’ stato bello.

Trasformazione

Penso che sia stato difficile venire a contatto con la mia realtà più profonda, con i miei sentimenti più profondi. È chiaro che solitamente sono dei sentimenti negativi, perché c’è la lontananza dei familiari, dei propri cari, la rabbia di cui ti ho detto, che può esserci o non esserci, la sensazione quasi di perdere tempo Invece questo può essere un periodo per entrare a contatto con sé stessi. Sono più in contatto con me stessa e in automatico anche con gli altri. Nel momento in cui ti sei completamente perdonata tante cose, allora riesci a essere più empatica nei confronti degli altri e capirli meglio. Non mi sarei aspettata tutto questo, perché ero una persona completamente diversa, mi ero staccata dalla realtà, sicuramente ne avevo una parallela e non mi ha fatto bene, perché ti porta sempre ad eccedere. Io sono proprio la donna degli esuberi; è sempre un di più e cavolo dopo sei stanco perché quel di più non ti basta mai. A me questa esperienza ha messo anche uno stop ad una vita di esagerazione, dove ti senti veramente distaccato e, con la danza ritrovarmi nel mio io più profondo è stato bello ma anche faticoso. Un po’ perché comunque vieni a contatto con quelle che sono le tue emozioni più autentiche e ti dici: “Bello, adesso non ho più paura di niente”, non temo a dirlo perché riesco ad affrontare tutto in modo differente. È come se qualcuno mi avesse dato delle sberle e mi avesse detto: “Senti svegliati fuori, cioè non è così il mondo”. Mi sento maggiormente radicata, più al suolo, non sono più in aria.

Piccoli ingredienti che hanno contribuito al cambiamento

Penso che gli altri in qualche modo rispecchino noi stessi e vederli in alcuni comportamenti ti fa capire come certe volte sei lontana da quello che stai facendo. Li vedi e ti dici: “Vedi l’ho fatto io, ma perché?”. Con gli altri è come avere un punto di vista esterno. Per questo Il gruppo per me è fondamentale perché riesci sia con le persone che provano le stesse emozioni e sensazioni perché ristrette, sia con quelle esterne. In fondo non c’è troppa differenza perché il meccanismo della mente funziona in maniera simile, quindi ci emozioniamo noi, come vi emozionate voi. Inoltre, voi con il vostro punto di vista esterno, riguardo alla nostra condizione, noi con il nostro interno, facendo la somma delle due cose si riesce a trarne qualcosa.

Ad esempio tutta la preparazione per quello che è stato lo spettacolo, la performance per il pubblico esterno, è stata proprio un’elaborazione di tutto quello che avevamo fatto durante il corso. Il preparare dei gesti, il lavorare per uno scopo comune è servito molto per concentrarsi maggiormente. Sia da parte vostra, che da parte nostra volevamo fare bene, quindi questo mettersi in gioco e provare, soprattutto sulla parte della danza iniziale, è stato bello. È stato piacevole vedere sia dall’interno che dall’esterno questi movimenti, queste entrate, queste uscite, questa casualità che in qualche modo ha un senso; anche nel caos viene ritrovato alla fine un significato. Poi un’altra cosa mi è piaciuta durante l’evento finale, quella delle figurine appicciate al muro. La scelta della figura, di quello che rappresentava, è stata un’ulteriore riflessione su quello che ci siamo portati a casa, una sorta di debriefing di tutto. Adoro queste cose: la preparazione, lo svolgimento e poi che cosa ne abbiamo tratto. Questo è fondamentale insieme al momento di condivisione finale durante la giornata con gli ospiti.

Queste emozioni nuove e fortissime che sto provando non le avevo mai provate in tutta la mia vita. E’ proprio il risultato di un lavoro che ho fatto su di me e quindi…è stato anche in parte merito vostro.

Abbattere i pregiudizi

Alla fine è brutto da dire ma, io quando sono entrata in carcere mi sentivo completamente diversa dagli altri e mi dicevo: “Ma proprio io, ma veramente con questi qui”. Sono cadute molte barriere e sai, ho riscoperto dei valori qui dentro che fuori molto spesso vengono persi. Vuoi che si ha più tempo per riflettere o che comunque la sofferenza genera questi pensieri che fuori non faresti quasi mai che dico: “Caspita però non pensavo di incontrare delle persone così profonde! Un’esperienza su più livelli che ha portato un sacco di cose, oltre che di emozioni e di consapevolezze nuove.

Sorpresa: non me lo aspettavo

Non me lo aspettavo perché è vero che questa volta mi sono messa in gioco al cento per cento. Che cosa mi porto? Tanto cosa ho da perdere? Nel senso che oramai quando ti ritrovi ad avere toccato il fondo della tua vita dici: “Ok adesso devo cercare di risalire, di rialzarmi in qualche modo, cerco di prendere il bello da ogni cosa che mi viene proposta”. Infatti ce l’ho messa tutta, ho partecipato attivamente a diversi corsi, varie attività del carcere perché mi sono detta: “Adesso mi prendo tutto il bello che c’è qua dentro!”

Vedere che cosa succede e se succede, prendere il meglio di ogni attività e di ogni persona che incontri. Cerco di prendere il bene da tutto e di togliere il male: questa persona mi può dare questa cosa positiva, la prendo e il resto lo lascio e anche dalle attività faccio così, prendo gli aspetti positivi e accantono quelli negativi.

Calcare un palcoscenico

Nella mia vita sin da bambina ho frequentato corsi di ginnastica artistica, ed ogni anno si faceva il saggio di stagione; poi so suonare il pianoforte, ho fatto per diversi anni la scuola di pianoforte e quindi anche lì esibizioni a go go. Sono abbastanza una da palcoscenico, a me piace mettermi in mostra è una cosa che mi diverte molto. Anche in questa occasione mi è piaciuto perché secondo me ognuno di noi è in grado di trasmettere all’altro qualcosa di positivo. Io penso così, come voi riuscite a trasmettere a me questo, cavolo! anche io riesco a trasmettere qualcosa che non sia brutto, nonostante sia qui. Ce la si può fare sempre a testa alta. Da quando sono qui, non mi vergogno ad essere qua, ho affrontato tutto con estrema dignità e mi sono guadagnata una posizione di rispetto perché, è solo entrando in empatia con gli altri che la puoi ottenere. Fuori ho avuto dei periodi di un’arroganza tale che mi ha portata all’autodistruzione, perché nel momento in cui sei sempre su un piedistallo e cadi ti fai molto male, perché se tu non fossi sul piedistallo allora ti faresti meno male, ma io ho preso una gran botta e a me questa cosa è servita per tutta la vita, per volare più basso e mettermi a disposizione degli altri, in modo autentico. Questa volta, non per mettermi in mostra e basta, adesso esibirmi è stato diverso rispetto al passato, in cui dicevo: “Ecco guardatemi quanto sono brava”. Questa volta la diversità stava nel trasmettere un messaggio completamente nuovo e che sentivo veramente nel cuore.

Arte dentro al carcere

Inizialmente, sono sincera, così come per tutti, è un modo per evadere dalla vita di tutti i giorni. Tu sei in sezione fai le stesse cose, vedi le celle, vedi le sbarre quindi in primis è un momento di evasione, come prima cosa dici: “Eh io partecipo a quel corso perché a) mi incuriosisce e b) mi permette di andare oltre con la mente e di non sentirmi in carcere”. Poi, se in effetti sei concentrato su quello che ti trasmette, l’arte è fondamentale sotto tutti i livelli perché ti permette di tirare fuori qualcosa che a parole probabilmente non saresti in grado di fare. Alle volte è troppo difficile descrivere quello che ti sta succedendo. In generale l’arte è una modalità attraverso la quale esternare le cose più profonde.

Oltre che in carcere o nei posti dove regna la difficoltà, è un’attività terapeutica anche per le persone normali, esterne. È fondamentale perché alle volte ci troviamo dei magoni nel cuore che non riusciamo a descrivere. Quando senti qualcosa, che sia bella o brutta e tu non riesci a spiegarla, come puoi farlo? Attraverso altre modalità. Così come, perché la gente si incazza? Perché, secondo me, non riesce ad esprimere la rabbia che ha dentro in modo costruttivo e quindi ci sono le urla, le litigate per nulla. L’arte può essere una strada per riuscire ad esprimere un’emozione benché negativa. Il movimento, la gestualità, gli sguardi sono fondamentali per andare a tirare fuori la parte più nascosta. Si assolutamente, l’arte è un linguaggio universale, arriva dappertutto.

“Segni particolari” con Compagnia Lyria

Di sicuro l’incontro con l’altro e con me stessa, un approccio diverso, questo rappresenta un tratto distintivo; nessun’altra esperienza me lo avrebbe dato. Una modalità di guardarmi dentro, l’importanza dei gesti anche nel quotidiano. Un’altra cosa che mi ero dimenticata di dirti è proprio l’importanza maggiore che do ai gesti. Quando ritornerò a casa ogni singolo gesto, ogni singolo sguardo avrà un valore diverso. Per me il fatto di essere consapevole che a gesti ed espressioni corrispondono cose specifiche, come trasferimenti di emozioni, è importante. Questo è sicuramente uno degli aspetti particolari che mi ha dato. Faccio un’analisi diversa rispetto a come mi sono posta, chiaro che se tu mi dici una cosa io posso avere uno sguardo o compiere un gesto in automatico senza averlo pensato, però sarò più in grado di analizzarlo. Perché ho guardato così quella persona? Perché ho fatto quel gesto lì?

*Per ragioni di privacy i nomi Sonia e Maria sono di fantasia

 

Anno 2020 | Progetto Verziano 10^ edizione
Raccoglitrice di storie: Valentina Fanelli

Circolo di scrittura e cultura autobiografica di Brescia
LUA Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari

La rubrica Sguardi attraverso è creata nell’ambito del Progetto Verziano 11^ edizione, realizzato da Compagnia Lyria e Ministero di Giustizia Casa di Reclusione Verziano Brescia, grazie al contributo di Comune di Brescia, Provincia di Brescia, Fondazione Comunità Bresciana, Ordine degli Avvocati di Brescia, Centrale del Latte di Brescia e in collaborazione con LABA Libera Accademia Belle Arti, LUA Libera Università Anghiari-Circolo di Brescia, Palazzo Caprioli, APS Libertà@Progresso e Istituto Lunardi. Gode del patrocinio di Fondazione ASM, AIIMF Associazione Italiana Insegnanti Metodo Feldenkrais e Consigliera di Parità della Provincia di Brescia.

Sguardi Attraverso | Testimonianza di un ex detenuto

Il viaggio di Ander | Ho imparato tante cose ed insegnato qualcosina

Entrare nel mondo di Compagnia Lyria

La prima volta, non parlavo come sto parlando adesso, non perché non parlavo l’italiano. Adesso lo parlo meglio di prima ma a quel tempo avevo sempre paura di sbagliare; magari pensavo:” dico qualcosa che non va bene o magari qualcuno mi dice qualcosa…”. Non avevo mai fatto incontri di questo tipo, all’aperto, con tanta gente e avevo sempre paura di parlare “Cosa dirò? cosa sarà?”, pensavo tra me e me.

All’inizio pensavo di non sapere fare quello che ho fatto fino ad oggi, avevo anche paura di danzare. Non è che non avevo mai danzato nella mia vita, qua, in India ai matrimoni, a scuola: una o due volte avevo fatto degli spettacoli ma niente di che. Secondo me non sapevo danzare, adesso però mi riesce e quello che faccio uscire arriva alla gente, che tra l’altro mi dice che sono bravo. Certo all’inizio avevo paura; mi sentivo spaventato, sia per il ballo che per qualsiasi altra cosa. Hai presente un cucciolo, quando lo lasci la prima volta fuori casa?

Decidere di rimanere

Il primo anno in cui ho partecipato al progetto è stato nel 2014, il secondo nel 2015, il 2016 è stato quello dello spettacolo al Sociale, il 2017 l’ho saltato e il 2018 è stato il mio ultimo anno. Quattro edizioni ho fatto; insieme ne abbiamo fatte diverse. Ero arrivato nel 2013 a Verziano, avevo visto lo spettacolo, poi come ho detto sempre, a dire la verità ero venuto lì per una ragazza, ma quell’anno lei non ha partecipato. Dopo che ero arrivato là mi è piaciuto e sono rimasto dentro. Nonostante non fosse quello che mi aspettassi alla fine è andata bene, ci ho provato, prima un giorno, poi due… come diceva sempre Giulia: “Venite una volta, due volte poi ci pensate su” e così mi sono fidato. Quando stai là, sei vicino a tanta gente che senti diversa da te, hanno diverse opinioni, c’è da imparare e ti senti come per dire, sei dentro e non ti senti dentro. Nel gruppo ti senti libero, ti senti di stare in famiglia, non hai tanti pensieri strani, niente di altro, stai lì e vuoi stare lì.  Intendiamoci, quando dico di sentirmi come in famiglia non è come quando mi sento nella mia famiglia, perché nella mia non mi sento tanto a mio agio. Mi sento a mio agio quando sono fuori, tipo conosco gente nuova e sento che mi vogliono bene, che mi trattano come loro figlio, come loro piccolo fratello. É questo di cui parlo quando dico che mi sono sentito in famiglia nel gruppo. L’anno migliore per me è stato quando abbiamo fatto lo spettacolo al Sociale e il primo anno, non perché eravamo in teatro, ma perché c’era armonia nel gruppo.

Conoscere la danza

Non riesco a trovare parole esatte per descrivere una cosa così bella come la danza, capisci? Danzare è una liberazione, mi sentivo libero, era anche un modo per sfogarmi.

Mi sono trovato sempre bene non solo quando danzavamo, ma anche quando stavamo insieme in cerchio a parlare, anche se non parlavamo tanto delle nostre difficoltà, ci si sentiva bene lo stesso. Capitava che voi ci raccontaste qualcosa di quello che succedeva fuori.

Come ti ho detto, all’inizio non riuscivo a parlare e di danzare non pensavo proprio. Era ancora peggio, ma alla fine mi sono reso conto che danzare è uscito ancora di più che parlare, perché ho visto che danzando riesco a sfogarmi e mi esprimo meglio. Non è importante sapere se durante la performance gli altri riescono a comprendere tutto, magari solo alcuni riescono a coglierne il senso. Quando danzi tu fai un gesto e l’altra persona può capire chiaramente l’intenzione del tuo movimento, quello che stai esprimendo realmente, oppure può capire e prenderne un frammento o qualsiasi altra cosa. Così di un gesto fai mille parole: ad esempio fai un gesto e dici a dieci persone di scrivere cosa hanno visto, quello che avrai sicuramente sono risposte diverse, magari due coincidono ma le altre no.

Scrivere

Quando Giulia ci dava le consegne, perché oltre alla danza utilizzavamo anche altri strumenti, come la scrittura, mi ricordo che aiutavo gli altri a scrivere. Anche a me è successo così, prima ho imparato dagli altri a scrivere, poi da solo, e poi ho ricambiato l’aiuto con chi non riusciva a farlo. Immagino che anche gli altri lo avranno fatto. Mi piace pensare che quelli che hanno imparato da me adesso stanno scrivendo per gli altri.

Lo spettacolo – operazione artistica

I primi anni iniziavamo il progetto a settembre. Durante i primi mesi fino alla fine di dicembre, i laboratori non seguivano una traccia precisa, esploravamo varie possibilità attraverso il movimento. Fino a quel momento non avevamo nella testa lo spettacolo, o come dici te, operazione artistica. Quando rientravate dalle ferie di Natale tutto cambiava; si lavorava di più e c’erano un po’ delle restrizioni da parte di Giulia. Prima ci faceva fare tutto quello che volevamo, poi si pianificava tutto: si faceva una cosa, poi un’altra e così costruivamo lo spettacolo. Lì si capiva che stavamo andando verso la costruzione di una forma, come quando sei sopra la cascata e capisci che stai arrivando all’orlo e che da quel momento puoi scivolare giù…ecco quella sensazione lì.

Giulia ci teneva all’oscuro di quello che avremmo fatto fino l’ultimo giorno, non sapevamo cosa avremmo dovuto fare di preciso, nel senso che avevamo imparato cose diverse; una piccola cassetta degli attrezzi da avere sempre a disposizione e che poi, in base a dei segnali, facevamo venire fuori. Si faceva improvvisazione!

Quella è una delle cose che mi piaceva di più. Mi ricordo anche l’anno che avevamo fatto lo spettacolo al Sociale, c’era chi improvvisava, tipo Barbara e forse anche Alice e Giulia, io non l’ho mai detto ma avrei voluto farlo anche io, ma non ero riuscito a dirlo, non mi sentivo tanto capace alla fine. Avevo sempre paura che Giulia mi dicesse “tu non lo puoi fare”, però sapevo che dall’altra parte lei si fidava e ha sempre creduto tanto in me e mi avrebbe detto di sì. Alla fine non sono riuscito a dirlo e la cosa è rimasta là. Mi viene un’immagine, come quando sei bimbo e dici che vuoi fare il pilota e lì per lì vuoi subito un aereo, ecco la vedevo un po’ così. Da un lato non mi sentivo pronto e dall’altro avrei voluto provarci, ma, in quel momento la mia paura non mi ha fatto chiedere a Giulia di ballare come facevano Alice e Barbara.  Non ho mai parlato di questo con nessuno.

Ballare davanti a chi conosci

La prima volta che abbiamo fatto lo spettacolo era come se fosse la prima volta che danzavo e tremavo. Stare davanti alle persone, soprattutto quando sei lì dentro e conosci tutti gli altri e loro conoscono te, hai più paura. Pensi: “cosa diranno”? Questo è il mio pensiero nella testa, se non conosco chi ho davanti provo paura. In quell’occasione non mi sentivo a mio agio, ma come ci aveva insegnato Giulia, a provare a spostare lo sguardo un po’ sopra alle persone, come se lo sguardo passasse oltre, questo mi ha aiutato. Ho applicato quella tecnica e ci sono riuscito. Tra l’altro, se non sbaglio, il primo anno mi avevano messo proprio davanti, proprio difronte, con il mio gruppo al centro. Dopo la prima volta, ho imparato e non mi è più interessato a cosa potessero pensare gli altri e la paura mi è passata.

Salto, salti, salti mancati

Ricordo alla fine l’ultimo anno: mi è stato chiesto di vedere ancora i miei salti e io avevo fatto partire la canzone e avevo ballato da solo. In quel momento ho sentito che avrei potuto recuperare quel momento che avevo mancato. Va bene, magari è questo il momento che mi sono perso quell’anno al Sociale. Avevo una canzone che mi piaceva tanto, ho detto a Giulia di farmela partire, tra l’altro lei mi aveva chiesto se avessi voluto proprio quella. Siccome mi ricordavo a memoria quella canzone e mi sentivo sicuro, è bastato solo qualche secondo nella testa per pianificare quello che avrei fatto e mi sono lanciato. La canzone mi ha dato una mano.

Ah, mi sono ricordato il salto che non sono riuscito a fare: la capovolta! Avevo chiesto a Giulia di insegnarmela, ma lei mi diceva che per farla avrei dovuto girare e fare il movimento velocemente, ma io non so per quale paura non riesco mai. Almeno, fino ad oggi non ci sono mai riuscito. Questo resta per il momento un desiderio, ma sono sicuro che un giorno ci riuscirò, perché quando mi metto in testa qualcosa poi la provo a fare.

Insegnamenti

Ho imparato un sacco di cose. A stare tra la gente, non che non lo sapessi prima, ho imparato ad essere aperto, a non rimanere sempre chiuso, ad entrare di più in relazione con le altre persone e questo… attraverso la danza. Come prima cosa c’era la danza, poi con il tempo si sono aggiunte anche le parole. Ho imparato ad aprirmi con le persone, anche quelle che non conosco da tanto, ma stando lì capisci che gli altri ti ascoltano e ti capiscono. Quando non ero ancora entrato in galera, non avevo nessun tipo di relazione del genere e in più, quando sono entrato a Verziano pensavo che questo si potesse fare solo con la psicologa. Quando ho incontrato il gruppo ho capito che puoi parlare con tutti e magari trovi una, due o più persone che ti ascoltano e ti capiscono.

Avere fiducia delle altre persone e di come possono comprenderti, magari all’inizio non ti fidi, ma se non parli, se non c’è conversazione non puoi mai capire veramente se l’altro ti comprende o è solo tutto dentro la mente. Alla fine se non parli non avrai la risposta alle domande che hai nella testa.

Mi è venuto in mente un ricordo, quando facevamo quel movimento con gli occhi chiusi e l’altra persona ti portava ad esplorare lo spazio; quello è stato per me un modo per imparare a fidarmi dell’altro, in quelle cose mi lasciavo andare. Mi ricordo anche di quella volta, forse il secondo anno; non avevamo fatto solo la camminata, ma portavamo per la palestra l’altra persona, di corsa con gli occhi chiusi e in quello mi sentivo benissimo. Mi lasciavo fidare. Ricordo che alcune persone si affidavano a me ed altre no, mi facevano sentire attraverso il movimento una cosa tipo: “dove corri?”… sai che io corro.

Quando mi sono sentito a mio agio è quando succedeva nel gruppo che, avvicinandosi allo spettacolo, Giulia ci mettesse più restrizioni, giustamente, ma non tutti capivano il senso di quei limiti. Io si, anche se è capitato anche a me di distrarmi delle volte. Nell’anno in cui non c’era molta armonia nel gruppo, era successo a pochi giorni dallo spettacolo, che Giulia più volte richiamasse la nostra attenzione, perché c’erano persone che chiacchieravano, e io mi sono sentito di aiutarla anche se gli altri non capivano perché lo facessi.  Questo un po’ mi dava fastidio, ma lì ho imparato una cosa importante: quando qualcuno ti insegna qualcosa e nel farlo ci mette tutta la sua passione e tutto quello che ha a disposizione, bisogna portarle rispetto. Non siamo bambini e poi ci trovavamo lì per fare danza e lei ci aveva lasciato sempre tanto tempo per chiacchierare e fare quello che volevamo, per cui era il minimo stare attenti e andare tutti nella direzione in cui avevamo scelto di andare.

Sai, gli altri pensavano che io mi sentissi come il capo, ma io non mi sentivo così; volevo stare come per dire nel giusto. Se lei ci diceva: “Adesso facciamo danza e stiamo attenti”, era perché voleva che noi imparassimo le cose per poter utilizzare la danza come mezzo per entrare in relazione, e poi perché anche quando impari a fare un gesto, e certe volte non riesci perché è difficile e rischi di dimenticarlo, hai bisogno di rimanere attento.

Gratitudine

Grazie. Mi avete fatto uscire tutte queste cose che non ricordavo. Sono sorpreso di come nella conversazione escono fatti che pensi di non avere più nella testa ed è come se fossero nuovi. Sono tornati fuori tanti ricordi che pensavo di avere dimenticato; invece la memoria si rinnova.

*Per ragioni di privacy il nome Ander è di fantasia

 

Anno 2020 | Progetto Verziano 10^ edizione
Raccoglitrice di storie: Valentina Fanelli

Circolo di scrittura e cultura autobiografica di Brescia
LUA Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari

La rubrica Sguardi attraverso è creata nell’ambito del Progetto Verziano 11^ edizione, realizzato da Compagnia Lyria e Ministero di Giustizia Casa di Reclusione Verziano Brescia, grazie al contributo di Comune di Brescia, Provincia di Brescia, Fondazione Comunità Bresciana, Ordine degli Avvocati di Brescia, Centrale del Latte di Brescia e in collaborazione con LABA Libera Accademia Belle Arti, LUA Libera Università Anghiari-Circolo di Brescia, Palazzo Caprioli, APS Libertà@Progresso e Istituto Lunardi. Gode del patrocinio di Fondazione ASM, AIIMF Associazione Italiana Insegnanti Metodo Feldenkrais e Consigliera di Parità della Provincia di Brescia.

Sguardi Attraverso | Testimonianza di una libera cittadina

Un cielo, le nuvole

Per caso e non per caso

Fu il caso, si dice, o forse non fu per caso che conobbi Giulia molti anni fa. Una serata proposta da un amico in una sala di milonga anche se non ero, io, una danzatrice di tango. Tuttavia dissi di sì a questo invito. Per caso o non per caso? Da quella serata in cui non ballai la milonga sono accadute molte cose con la danza.

Io e Giulia avemmo modo di conversare, conoscerci e rimasi stupita quando mi propose di entrare a far parte della scuola. Avevo 54 anni e mi chiedevo come potessi mai danzare in una compagnia a questa età. Si, avevo amato la danza da bambina ma non era stata la mia strada. Risposi un sì poco convinto pensando che tutto finisse dopo queste nostre parole. Invece… il caso o non il caso? Fui contattata e così si aprì per me questa nuova esperienza. Fui a disagio nei primi tempi. Non capivo quella danza. Ero sconcertata da quei movimenti, quell’espressione così… libera. E’ danza contemporanea, mi dicono. Ero riluttante, non pensavo di riuscire, di poter danzare in quel modo. All’inizio fu dubbio, perplessità. Ma superai il gradino della resistenza a sperimentarmi. Rimasi e danzai. Grazie agli inviti di Giulia ebbi modo di partecipare a progetti dove la danza si fa veicolo, mediatore per offrire alle sofferenze e fragilità umane dei porti da cui partire.

Dieci anni fa Giulia mi disse: “Voglio portare la danza in carcere, vuoi partecipare anche tu?”, ecco, io non ci pensai su nemmeno un secondo, risposi un sì pieno. L’idea di far parte di un progetto che coinvolgesse persone confinate in spazi contenuti era per me molto coinvolgente. Portare la danza, che significa assoluta libertà, in un luogo che esprime “limitazione”, mi ha fortemente entusiasmato. Ho accettato subito. Certo anche con timore. Sarebbe stata la prima volta che entravo in un carcere, non conoscevo le dinamiche di questi spazi e non immaginavo come sarebbe stato l’incontro.

Entrai dunque a far parte di un gruppo che periodicamente si recava nel carcere di Verziano. Gradualmente e non senza difficoltà nacque la relazione con detenuti e con altre persone che vivevano il carcere. Per me fu un tempo di apprendimenti reciproci, di sostegno, di sperimentazione, di ricerca condivisa. Si stava costituendo una comunità che danzava insieme.

Quindi per caso, ma non solo, ho intrapreso questo percorso. Un amico, un’unica serata e da lì è nato tutto questo. L’amico ha involontariamente congiunto due sponde. Una sincronicità necessaria allo sviluppo della mia esistenza. Solo più tardi ci si rende conto dell’importanza di piccoli istanti nati in una sera. Lo realizzi dopo avere sentito crescere una maggior consapevolezza e soprattutto il cambiamento interiore che questa esperienza porta. Comprendi che l’affermazione “una persona non cambia mai per la sua indole”, è un modo di dire privo di senso. Sono convinta che invece si può cambiare e in meglio. Non tanto per dimostrare risultati, bensì per stare meglio con se stessi. Si può intraprendere la via del cambiamento non per diventare perfetti, no, ma semplicemente per riconoscere e riconoscersi.

Scarpette rosse

Da bambina mi piaceva muovermi, in qualsiasi modo e forma, ma non frequentavo alcuna scuola di danza. Resta uno dei miei più bei ricordi di bambina un anno della festa di Santa Lucia in cui trovai un magnifico paio di scarpette da ballo rosse. Innumerevoli furono i tentativi per restare su quelle punte! Dove saranno ora non lo so. Ma bambina Susi continuava ad inventarsi giochi che contenessero piroette e voli, fonti di grande gioia e libertà.

L’esperienza con Giulia ha riaperto una passione infantile, mantenuta sia nell’adolescenza che dopo…le domeniche pomeriggio a ballare in una stanza di una casa; oppure insegnare a mio fratello maggiore qualche passo di danza moderna.

Cos’è per me la danza? Qualcosa di molto intimo. Che esce spontaneamente. Movimento e libertà. La bambina Susi sentiva questo soffio di libertà. Perché è espressione. Se non riesci a dire con le parole quello che pensi, lo puoi dire danzando. Ed è questo che ho recuperato con il tempo. Succede di dimenticarsi di queste prime sensazioni, di queste prime volte… però questo l’ho ritrovato o forse l’ho riconosciuto un’altra volta incontrando la danza contemporanea, perché è decisamente una forma di danza che offre qualcosa di più, dove non c’è limite al movimento: è il superamento di una forma espressiva prestabilita e codificata. È l’esperienza di ascoltare quello che senti intimamente e lo puoi dire con un qualsiasi gesto. Non c’è regola ma la voglia e la libertà di esprimere la propria voce interiore e lo puoi fare anche solo alzando un dito. Questo è già movimento di danza, è il recupero di una libertà di espressione personale senza codici; la costruzione di un proprio linguaggio attraverso il movimento. Da lì, la possibilità di comunicare in assenza di parole e di far capire che sei lì non solo per te stesso ma per condividere con altri.

Entriamo a Verziano. Le prime volte… la prima volta…

Cosa pensavo? Cosa sentivo intimamente? Un sentimento mi attraversava ed era strettamente connesso ad un pensiero: la curiosità rispettosa di come si dipana la vita in carcere; di come un soggetto umano può vivere chiuso in un luogo per lungo tempo; sperimentare se dentro di me abitavano pregiudizi. Ma anche sentivo la voglia di mettermi a disposizione del progetto e delle persone che in carcere avremmo incontrato. Desideravo poter far qualcosa per loro che, pur avendo commesso qualcosa di sbagliato, ero certa non mi avrebbero fatto alcun male. Forse era un po’ presuntuoso pensare di farli star bene, ma questo pensiero mi piaceva ugualmente.

Mi sono avvicinata a questa prima volta senza paure, con tanta voglia di esserci e senza lasciarmi condizionare da quel luogo così poco accogliente. Certo… nell’entrare, i primi ostacoli… i tempi di accesso dilatati che rubavano minuti preziosi alla nostra permanenza, l’iniziale diffidenza del personale di sorveglianza, anche se giustificata dalla insolita natura del nostro progetto.

Mi ha colpito sin da subito la relazione fra chi custodisce e chi è custodito. È stata motivo di mie riflessioni che non sciolgono la complessità della questione. Difficile, secondo me, gestire tale rapporto considerandolo solo un lavoro. È evidente la differenza fra chi, da una parte, deve pagare un errore e dall’altra chi deve custodire. Ma in fondo mi pare di aver scorto che lì, in quel luogo, si può anche guardare con un’altra prospettiva e in tal modo ti accorgi che non vi sono differenze fra le due parti; le stesse fragilità, debolezze, chiusure. In entrambe le parti si percepisce la stessa dolorosa condizione esistenziale, perché di mezzo c’è l’animo umano, radice profonda. Due condizioni si trovano a doversi confrontare quotidianamente: quella di chi ha commesso un reato, forse perché non ha trovato altre strade possibili per dare forma alla propria vita, e quella di chi custodisce, impegnato in un lavoro complesso, a rischio di trappole relazionali e psicologiche, dove ritrovare il senso educativo e di accompagnamento umano è un patto da rinnovare ogni giorno con se stessi. Penso che questo lavoro debba essere motivato da una buona dose di passione. Il rischio è perdere la propria umanità.

Curiosità, voglia di fare, essere utile, insomma era questo che mi stimolava del progetto. Non era la mia prima esperienza di volontariato; già per alcuni anni impegnata con l’Associazione Telefono Amico. Un modo per dare un senso all’esistenza che mi fa star bene certamente insieme ad altri aspetti della vita.  Una forma laica di solidarietà umana, di mutuo aiuto. Perché l’aiuto è sempre reciproco.

Il desiderio di incontrare l’altro era molto presente e venivano meno le paure. Ciò nonostante non sempre è stato facile relazionarsi con i detenuti… noi, liberi, abbiamo dovuto confrontarci con persone che ogni giorno devono misurare e controllare ogni gesto. Una sfida importante affrontata interagendo con la danza che è diventata espressione di libertà per persone private di questo privilegio. Una relazione da costruire ascoltandosi e ascoltando attentamente.

E ho incontrato tanti volti. Se guardo a questi 10 anni li vedo tutti, alcuni un po’ sfocati, altri molto nitidi. Vedo i gesti scambiati nella danza. Con loro c’è stato un reciproco Dare e Avere. La danza fatta di sguardi, di movimenti, lievi sfioramenti e di rispettosi incontri dei corpi, ha dato vita ad una ’espressione individuale e collettiva sempre più intensa. Dopo i primi momenti di timidezza sorgeva lo stupore di potersi esprimere. Ed è stata apertura per quasi tutti, anche per la persona più chiusa. Quando sono entrata in Lyria anch’io mi chiedevo cosa stessi facendo mentre mi muovevo; mi giudicavo e in tal modo alimentavo quella voce che ci limita e ci imprigiona nella convinzione del sentirsi sciocchi e di non poterlo fare. Superare quel gradino, per me e per gli altri, ha significato trovare dentro di sé il coraggio di lasciare le paure e la vergogna. Giocare con la propria libertà. È anche un po’ ritornare a scoprire gesti fanciulli, il gioco, le smorfie, i movimenti strani e magari contrari a quelli che fai abitualmente. Un ciao anziché con le dita della mano aperte perché non si potrebbe fare anche con le dita chiuse o in qualsiasi altro modo? I bambini sono maestri in questo.

Passo passo mi accorgevo che le chiusure iniziali si scioglievano, in tutti. E così, ti guardi intorno e cogli nei compagni di danza una forma di soddisfazione, di autogratificazione; percepisci che anche loro sono usciti da un disagio e lo vedi dagli sguardi scambiati, dai sorrisi e dal tono della voce meno incerto. L’imbarazzo individuale, così simile per ciascuno, provato all’inizio scompare e si ritrova una comunità di intenti grazie alla quale ognuno è riuscito a superare quella barriera che pare solo tua ma che è di tutti, o quasi. Facendosi carico del proprio coraggio di osare, si raggiunge un senso di stupito appagamento che diventa motore per acquietare il giudizio interiore e godere insieme la danza e i suoi frutti.

Cosa resta della danza?

Spesso questo danzare è fatto di gesti che provengono da un pensiero, cosicché buona parte di essi assumono un senso. Questo modo di esprimere i tuoi intimi pensieri è portatore di  benessere e tale benessere non si limita alle due ore di esperienza ma trasmigra nella vita, nei giorni, nelle relazioni. Ed è così che succede che, magari, non hai paura a guardare l’altro e senti di avere radici che ti permettono di andare avanti con una rinnovata consapevolezza. Se per tutti la danza diviene una strada per cambiare intimamente, anche dentro al carcere è occasione per maturare nuovi sentimenti, pensieri, modalità di stare in quel luogo. Spesso, durante lo spazio di condivisione, i detenuti hanno espresso un senso di libertà pur non essendo, di fatto, liberi. Come mai? Ma perché questa danza non è data solo dai movimenti che possono essere inconsueti, ma da un muoversi attraverso il quale tu puoi dire ciò che hai pensato e non hai mai detto. Danzando lo puoi esprimere in piena libertà. Si porta in vita un linguaggio unico, personale che cerca di abbattere codici prestabiliti e che si inserisce nel quotidiano vissuto. È un processo di maturazione individuale attraverso il corpo in movimento  e che interroga, per quanto riguarda il detenuto, anche il modo di vivere nel carcere a partire dal senso di responsabilità  di cui nella danza si fa esperienza. È un processo che chiede tempo, desiderio e coraggio di lasciarsi trasformare dall’esperienza della danza, forse più facile per chi non vive il carcere, più complesso per chi invece vive la condizione della detenzione in quanto il limite contrapposto alla libertà è pane quotidiano. 

Ciascuno unico e insieme

La danza esprime la condizione per cui ogni persona è unica e nello stesso tempo è parte di una comunità danzante. Si fa esperienza del valore di ogni singolo soggetto umano e si comprende l’importanza della condivisione nel gruppo. Sviluppa il senso della propria unicità e nel contempo unisce. I passi si fanno incerti quando compare la tensione di prestazione. Dimostrare qualcosa a qualcuno o a se stessi. Ma si fa anche presto a sciogliere il problema: nessuno è chiamato a dimostrare qualcosa; si danza per toccare ciò che si è non ciò che si deve. Impari non solo a non giudicare ma anche ad accettare la diversità che si incarna in ciascuno di noi. La danza può portare all’apertura del possibile.

Il corpo che danza diventa un tragitto, una via di maturazione personale di dimensioni esistenziali profonde. Il corpo come mente. Il danzare come messa in gioco di una unità corpo pensiero spirito. Quel gesto dice “ah però… ti riconosco nella tua interezza”. Ti offre l’occasione per dire le cose senza forzatura senza costrizione… esprimere la gentilezza con un movimento perché semplicemente sei gentile. 

Guardando questi 10 anni

L’onestà è da sempre un principio morale per me importante. Con questa esperienza tale principio, se prima pur fondativo della mia vita, era tuttavia solo una parola, in questi dieci anni ho imparato che esso si può esprimere con sempre maggior chiarezza. Dunque ho imparato l’onestà di dire quello che penso senza offendere. L’onestà di saper dire di no. L’onestà di saper dire di sì. Questa esperienza mi ha  tolto tante paure. La paura di muovermi in piena libertà. La paura di mostrarmi per quella che sono non solo negli atteggiamenti aggressivi ma anche in quelli delicati.

Mi ha anche risvegliato tanta voglia di conoscere, conoscere, conoscere. Persone, cose, storie, fatti. Imparare è una condizione per me fantastica e farlo insieme ad altri raddoppia il piacere. Se voglio imparare l’inglese, non mi piace farlo da sola, mi piace imparare l’inglese insieme agli altri. Se desidero visitare posti nuovi, sì lo posso fare da sola, ma è molto più interessante condividere. Conoscere insieme agli altri: una possibilità che ho scoperto nel tempo. Tendevo ad isolarmi, non perché fossi solitaria ma, ho capito poi, che  isolandomi magari qualcuno si sarebbe accorto della mia mancanza. Quindi la stessa storia: volevo stare con gli altri. Una fragilità… certo, ma nel momento in cui la riconosci ti liberi.

Questa con Lyria è stata ed è un’esperienza fondamentale, soprattutto nella maturazione del senso del rispetto verso l’altro chiunque esso sia. Dare rispetto per riceverlo. 

Un gesto più di tutti

Rotolare, rotolare insieme all’altro.
Amo parlargli toccando.
Amo mettere la mia fronte contro la tua per dirti che sto bene con te.
Toccarsi con un braccio, con un ginocchio, con un piede, con un gomito.
Il gesto è il tocco 

Un autoritratto

Un albero.
Amo gli alberi
amo gli alberi ultracentenari
rugosi, pieni di nodi
con radici che sporgono dal terreno perché ormai non riescono ad andare più a fondo.
Un albero.
Vorrei essere un albero con un diametro impossibile da misurare.
Pieno di nodi ferite rughe cortecce che si staccano.
O un delfino, simbolo di vitalità, curioso e un po’ dispettoso..
Ma anche una tartaruga, quel musetto un po’ strano e non sempre gradevole
ma nel quale un po’ mi riconosco, perché rinnegarlo?

 

Nuvole

Guardo il progetto nel carcere di Verziano e lo vedo come fosse una serie di nuvole in continuo cambiamento. Nuvole temporalesche; soffici nuvole in un cielo terso; nuvole rosate al tramonto. Nuvole che prendono tante forme. “Vanno, vengono, a volte si fermano…”

 

Il Vocabolario dell’esperienza a Verziano

A

apprendimento, ascolto

B

benessere

C

cambiamento, condivisione, corpo,  custodire, custodito

D

danza, detenzione

E

esprimersi, elevarsi, evoluzione

F

fiducia, fare

G

gesto

H

happy

I

insieme, insolito, incontro, ironia

L

libertà, limiti, linguaggio

M

movimento, mente

N

novità

O

opportunità

P

possibilità

Q

qualità, quesito, quantità

R

ricerca, responsabilità, rispetto

S

stupore, sentimento, sensibilità, sostanza

T

tocco, tendere

U

unicità (della persona), unione

V

volontà, vivacità, verità

Z

zigote (il progetto è come una cellula in evoluzione)

 

 

Anno 2020 | Progetto Verziano 10^ edizione
Raccoglitrice di storie: Ludovica Danieli

Circolo di scrittura e cultura autobiografica di Brescia
LUA Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari

La rubrica Sguardi attraverso è creata nell’ambito del Progetto Verziano 11^ edizione, realizzato da Compagnia Lyria e Ministero di Giustizia Casa di Reclusione Verziano Brescia, grazie al contributo di Comune di Brescia, Provincia di Brescia, Fondazione Comunità Bresciana, Ordine degli Avvocati di Brescia, Centrale del Latte di Brescia e in collaborazione con LABA Libera Accademia Belle Arti, LUA Libera Università Anghiari-Circolo di Brescia, Palazzo Caprioli, APS Libertà@Progresso e Istituto Lunardi. Gode del patrocinio di Fondazione ASM, AIIMF Associazione Italiana Insegnanti Metodo Feldenkrais e Consigliera di Parità della Provincia di Brescia.

Approdi e Ripartenze | Racconti dal carcere

Martedì 12 ottobre 2021 alle ore 21.00 presso il Cinema Nuovo Eden in via Nino Bixio 9 a Brescia una serata a ingresso libero, con prenotazione obbligatoria, che avvia l’undicesima edizione del Progetto Verziano, realizzato da Compagnia Lyria e Ministero di Giustizia Casa di Reclusione Verziano Brescia grazie al contributo di Comune di Brescia, Provincia di Brescia, Fondazione Comunità Bresciana, Ordine degli Avvocati di Brescia, Centrale del Latte di Brescia e in collaborazione con LABA Libera Accademia Belle Arti, LUA Libera Università Anghiari-Circolo di Brescia, Palazzo Caprioli, APS Libertà@Progresso e Istituto Lunardi. Gode del patrocinio di Fondazione ASM, AIIMF Associazione Italiana Insegnanti Metodo Feldenkrais e Consigliera di Parità della Provincia di Brescia.

Approdi e Ripartenze | Racconti dal carcere prevede la presentazione delle attività in programma e la proiezione di due video, che rappresentano gli esiti finali delle precedenti edizioni.



Progetto Verziano 9^ edizione (durata 27 minuti)
Questo video racconta l’attività svolta presso il carcere di Verziano da novembre 2019 fino a febbraio 2020, quando tutto si arresta. Dopo un primo momento di smarrimento Compagnia Lyria riprende i contatti con i detenuti attraverso scambi epistolari, che divengono motivi ispiratori per la produzione di brevi video realizzati dai liberi cittadini con i cellulari presso le loro abitazioni. Queste immagini, accompagnate da alcuni stralci delle lettere, compongono la seconda parte del video, che documenta un’epoca straordinaria come quella pandemica e le sue limitazioni, ma lascia trasparire la spinta vitale a cercare sempre nuove strade per mantenere viva la relazione attraverso processi creativi condivisi.

Il Progetto Verziano 9^ edizione è realizzato con il contributo di Comune di Brescia, Ordine degli Avvocati di Brescia, Fondazione ASM Brescia, Fondazione Banca San Paolo Brescia, Centrale del Latte di Brescia e Rotaract Brescia Manerbio; con il patrocinio di Regione Lombardia, Provincia di Brescia, Consigliera Parità Provincia di Brescia, Comune di Manerbio, AIIMF Associazione Italiana Metodo Ferldenkrais, CSEN Centro Sportivo Educativo Nazionale Brescia e Rotary Club Brescia Manerbio; con la collaborazione di CTB Centro Teatrale Bresciano, Extraordinario – Fondazione Cariplo, Fondazione Brescia Musei, Cinema Nuovo Eden, CFP G. Zanardelli Brescia, Libertà @ Progresso APS, Abaribi Srl Bovezzo e Valledoro Spa Brescia.


Progetto Verziano 10^ edizione (durata 28 minuti)
E’ l’ottobre 2020 e il progetto riprende avvio, ma quest’anno non è possibile entrare in carcere. Per non perdere il filo rosso di questa lunga esperienza nasce l’idea, insieme al Circolo di Scrittura e Cultura Autobiografica di Brescia promosso dalla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, di raccogliere le storie dei protagonisti del Progetto Verziano: detenuti, ex detenuti e liberi cittadini. Da queste storie vengono raccolti gli stimoli per la creazione della traccia narrativa di movimenti, immagini e parole del video: Racconti dal carcere. Ogni settimana i performer di Compagnia Lyria, impegnati nella composizione dei nuclei coreografici, condividono idee e visioni con gli studenti della Libera Accademia Belle Arti, che realizzano riprese, montaggio e regia del video.
Tutto on line fino ad aprile 2021, in rispetto delle normative per il contenimento della pandemia.
Poi, finalmente, le riprese in presenza. Dopo sette mesi di lavoro insieme ci incontriamo davvero.

Il Progetto Verziano 10^ edizione è realizzato con il contributo di Comune di Brescia, Ordine degli Avvocati di Brescia, Fondazione Cariplo, Fondazione ASM Brescia e Centrale del Latte di Brescia; con il patrocinio di Provincia di Brescia, Consigliera Parità Provincia di Brescia e AIIMF Associazione Italiana Metodo Ferldenkrais; con la collaborazione di LABA Libera Accademia di Belle Arti Brescia, LUA Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, Circolo di Brescia e Libertà @ Progresso APS.



Presenta la serata Angelo Piovanelli, responsabile del Progetto Verziano. Intervengono Monica Cinini, presidente di Compagnia Lyria, Giulia Gussago, direttore artistico del Progetto Verziano, Roberto Cammarata, presidente del Consiglio Comunale del Comune di Brescia, e Silvia Frassine, responsabile Area Educativa della Casa di Reclusione Verziano Brescia.

L’ingresso all’evento è libero. I posti limitati.
E’ obbligatoria la prenotazione scrivendo una mail a: social@compagnialyria.it
indicando nome, cognome e numero di telefono.
Riceverai una mail di conferma.
Verranno osservate le norme vigenti in merito al distanziamento sociale. Obbligo di Green Pass.

La serata è realizzata in collaborazione con Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei e Cinema Nuovo Eden.


Vuoi sostenere anche tu il Progetto Verziano?

Puoi donare, entro il 26 ottobre, seguendo le indicazione riportate qui
Anche un piccolo gesto fa la differenza

Il Progetto Verziano nasce nel 2011 con l’intento di realizzare un’ampia e articolata azione di sensibilizzazione sul tema dell’integrazione tra realtà carceraria e società. Per conoscerne la storia clicca qui

Abito habitat

L’Atelier è condotto da Domenico Franchi, artista visivo, scenografo e costumista che collabora con i più riconosciuti teatri italiani ed europei e, da oltre vent’anni, a numerosi progetti di Compagnia Lyria.
Gli incontri si svolgono presso lo studio dell’artista, da dicembre 2021 ad aprile 2022.
Per partecipare non è richiesta alcuna precedente esperienza specifica.

Serata di presentazione al pubblico a cura di Domenico Franchi, con la partecipazione di Giulia Gussago
Quando: sabato 18 dicembre 2021 ore 15 – 18
Dove: Studio di Domenico Franchi in via Chiesa 69, Camignone (BS)
Ingresso libero con prenotazione obbligatoria: social@compagnialyria.it
Posti limitati

L’Atelier Abito habitat si concentra sulla creazione dell’abito inteso come superficie, pelle, involucro, estensione del corpo, oggetto. L’abito inteso come elemento espressivo in stretta relazione con la dinamica del corpo in movimento.

Quando: sabato 29 gennaio, 26 febbraio, 12 marzo e 23 aprile 2022 ore 14.30-19
Dove: Studio di Domenico Franchi in via Chiesa 69, Camignone (BS)
Rivolto a giovani e adulti. Non è richiesta alcuna precedente esperienza
Iscrizioni entro e non oltre il 23 dicembre 2021
Info e prenotazioni: 391 7424229 – social@compagnialyria.it
Posti limitati

Abito habitat è un evento collaterale del Progetto Verziano 11^ edizione, realizzato da Compagnia Lyria e Ministero di Giustizia Casa di Reclusione Verziano Brescia in collaborazione con LABA Libera Accademia di Belle Arti di Brescia, Circolo LUA Brescia Scrittura e Cultura Autobiografica e Palazzo Caprioli.

La partecipazione a questo Atelier è aperta a tutti coloro che sono interessati a conoscere il processo creativo per la realizzazione di abiti per la danza in video, dalla concezione dell’idea fino alla sua realizzazione.

Durante gli incontri di questo Atelier le proposte di ricerca e realizzazione dell’abito si concretizzano nell’integrazione con l’Atelier di danza contemporanea per la creazione video condotto da Giulia Gussago presso Palazzo Caprioli da gennaio a maggio 2022.
I partecipanti all’Atelier Abito habitat si dedicano alla realizzazione degli abiti e degli elementi scenici utilizzati dai performer di Compagnia Lyria per la produzione di un’opera di video arte con la regia di Giulia Gussago e Domenico Franchi ispirata all’esperienza condotta dall’Associazione per 10 anni presso il carcere di Verziano.

Le riprese del video vengono realizzate nel corso del mese di maggio 2022 presso Palazzo Caprioli a Gussago (Bs). I partecipanti a Abito habitat hanno la possibilità, se lo desiderano, di assistere alle riprese, curate dagli studenti della LABA Libera Accademia di Belle Arti di Brescia sotto la direzione di Giulia Gussago e Domenico Franchi.
Gli abiti e gli oggetti di scena prodotti durante l’Atelier sono utilizzati dai performer durante le riprese e quindi parte integrante del video che viene successivamente prodotto, esito finale di un articolato processo creativo che intreccia esperienze diverse e di questo si alimenta.

Quote di partecipazione Atelier Abito habitat:
€ 10 quota associativa Compagnia Lyria/ACSI 2021-2022 (per i non soci) + € 200 Atelier Abito habitat
Per i soci di Compagnia Lyria già iscritti alle lezioni di Metodo Feldenkrais o all’Atelier di danza e dintorni La presenza:
€ 150 Atelier Abito habitat

Modalità d’iscrizione:
1- telefonare o scrivere una mail per ricevere conferma della disponibilità di posti e, per i non associati, ricevere il modulo per la richiesta di ammissione a socio

Indicare nella mail:
– nome e cognome
– luogo e data di nascita
– codice fiscale
– indirizzo di residenza
– numero di telefono

2- procedere all’iscrizione tramite bonifico bancario su conto corrente intestato a Compagnia Lyria:
IBAN: IT29L0538711215000042701523
BPER BANCA
Causale: nome cognome – € 10 quota associativa (per i non soci) + Atelier Abito habitat
Per favore, scrivete con precisione la causale come sopra indicato.

3 – inviare via mail ricevuta del bonifico effettuato a social@compagnialyria.it oppure tramite whatsapp al 391 7424229

 

Un gesto importante per sostenere il Progetto Verziano di Compagnia Lyria
Dona anche tu!
Come? Clicca qui 

Anche un piccolo gesto fa la differenza

Dona anche tu per sostenere il Progetto Verziano

Quest’anno il Progetto Verziano di Compagnia Lyria, realizzato in collaborazione con il Ministero di Giustizia Casa di Reclusione Verziano Brescia compie 11 anni!

Per poterlo realizzare abbiamo bisogno anche del Tuo contributo.

Puoi farlo con una donazione alla Fondazione Comunità Bresciana che assegnerà il Tuo contributo a Compagnia Lyria per rendere concreti gli obiettivi che ci siamo dati.
Puoi fare la donazione, entro il 26 ottobre 2021, con un bonifico bancario a:
c/c intestato a Fondazione della Comunità Bresciana Onlus
Banca Intesa Sanpaolo
Codice Iban: IT 55 B 03069 09606 100000009608
Causale: 325 – Progetto Verziano 11^ edizione.

La donazione gode dei benefici fiscali con deducibilità o detrazione nella denuncia dei redditi. Per richiedere la ricevuta valida ai fini fiscali è necessario mandare una mail a
segreteria@fondazionebresciana.org  scrivendo i propri dati:
Nome e Cognome o Ragione Sociale Azienda;
Indirizzo di residenza o Sede legale Azienda;
Codice Fiscale / Partita Iva
ed allegare la distinta di versamento.

Obiettivo del progetto è da sempre favorire l’inclusione sociale e combattere i pregiudizi nei confronti delle persone in stato di detenzione.
Crediamo fortemente che l’incontro e la relazione siano il fulcro centrale che innesca il cambiamento. Pensiamo che il linguaggio della danza e della parola creino le condizioni affinché questo avvenga. Sono i gesti, gli sguardi, le parole a permettere un’intimità che getta ponti, accorcia le distanze, che ci consente di conoscere e crescere, ognuno nel proprio percorso di vita, anche per chi nella vita ha commesso degli errori.

Cinque buone ragioni per dare il tuo contributo:
1. Fare progetti di inclusione sviluppa una cittadinanza attiva
2. Conoscere ed entrare in risonanza gli uni con gli altri aiuta ad abbattere i pregiudizi
3. La bellezza aiuta a sviluppare capacità di resilienza, fondamentale all’interno del carcere
4. Ogni essere umano ha diritto alla propria dignità
5. Puoi toccare con mano tutto questo, attraverso le immagini dei protagonisti che abbiamo raccolto in questi lunghi anni

Grazie al Tuo contributo potremo realizzare:
l’evento pubblico a ingresso libero Approdi e ripartenze | Racconti dal carcere presso il Cinema Nuovo Eden di Brescia il 12 ottobre 2021, in cui presentiamo le attività del Progetto Verziano 11^edizione e proiettiamo i video creati nel corso delle due precedenti edizioni;

un’area dedicata nel sito di Compagnia Lyria che raccoglie le storie autobiografiche di detenuti, ex detenuti e liberi cittadini che hanno partecipato alle 10 precedenti edizioni del progetto, arricchita dalle fotografie di Daniele Gussago;

un video con la regia di Giulia Gussago e Domenico Franchi, che sarà presentato all’interno di festival, manifestazioni ed eventi per poter raggiungere e sensibilizzare un maggior numero possibile di persone;

coinvolgere i giovani, in particolare studenti, che sono interessati al mondo dell’arte all’interno di contesti di vulnerabilità sociale;

…tutto questo in attesa di tornare presto all’interno della Casa di Reclusione Verziano Brescia e svolgere le attività laboratoriali di nuovo insieme!

Il Tuo contributo è un piccolo grande gesto che può fare la differenza. Passaparola!

Grazie!

La presenza

Domenica 17 ottobre e 14 novembre 2021 due nuovi appuntamenti con l’Atelier creativo di danza e dintorni condotto da Giulia Gussago. Gli incontri sono realizzati in collaborazione con Palazzo Caprioli.

Il tema della nostra indagine è la presenza, un’attitudine che definisce il performer prima ancora delle sue abilità tecniche. Una qualità che integra l’attenzione a se stessi con la capacità di riconoscere, accogliere e rispondere ai tanti stimoli che riceviamo in ogni istante dal mondo esterno.
Le nostre esplorazioni, accompagnate da brevi proposte di Consapevolezza Attraverso il Movimento® di Metodo Feldenkrais®, puntano ad espandere, affinare e approfondire la percezione di noi stessi per renderci pronti all’esposizione curiosa e appassionata all’accadimento, all’imprevisto.

Durante ogni incontro si alternano momenti in cui tutti i partecipanti sono contemporaneamente impegnati nella propria esplorazione, ad altri in cui alcuni danzano e il resto del gruppo osserva, occasione di comprensione delle proprie propensioni, abilità e difficoltà nel rispecchiamento con l’altro.
E’ anche prevista la proiezione di alcuni estratti di coreografie di diversi autori, che fanno luce su particolari aspetti, sia dal punto di vista del compositore che del performer, collegati all’esperienza del nostro Atelier.

Grazie a un approccio rigoroso, che fa del limite un’occasione e un aiuto, ci affidiamo all’improvvisazione e alla composizione istantanea per il puro gusto del gioco, senza altre aspettative se non quella di godere del corpo in movimento, di quel corpo che è pelle, muscoli, ossa, emozione e pensiero.
Del mio corpo in movimento, del tuo corpo in movimento e, così, del nostro corpo.

Quando: domenica 17 ottobre e 14 novembre ore 10-13.30 14.30-18
Dove: Palazzo Caprioli, via Sale 109, Gussago (BS)
Condotto da Giulia Gussago, danzatrice, coreografa, direttore artistico di Compagnia Lyria e insegnante di Metodo Feldenkrais®
Rivolto a giovani e adulti. Non è richiesta alcuna precedente esperienza
Info e prenotazioni: 391 7424229 – social@compagnialyria.it
Posti limitati

Per aggiornamenti visita la pagina www.facebook.com/compagnia.lyria/

Quota di partecipazione a singolo incontro:
€ 10 quota associativa Compagnia Lyria/ACSI 2021-2022 (per i non soci) + € 100 Atelier 17 ottobre (oppure 14 novembre)
Per i soci di Compagnia Lyria già iscritti alle lezioni di Metodo Feldenkrais:
€ 85 Atelier 17 ottobre (oppure 14 novembre)

Modalità d’iscrizione:
1- telefonare o scrivere una mail per ricevere conferma della disponibilità di posti
– Indicare nella mail:
– nome e cognome
– luogo e data di nascita
– codice fiscale
– indirizzo di residenza
– numero di telefono

2- procedere all’iscrizione tramite bonifico bancario su conto corrente intestato a Compagnia Lyria:
IBAN: IT29L0538711215000042701523
BPER BANCA
Causale: nome cognome – € 10 quota associativa (per i non soci) + Atelier 17 ottobre (oppure 14 novembre)
Per favore, scrivete con precisione la causale come sopra indicato.

3 – inviare via mail ricevuta del bonifico effettuato a social@compagnialyria.it oppure tramite whatsapp al 391 7424229

N.B.: Per godere delle coperture assicurative è necessario produrre, all’atto dell’iscrizione, un certificato medico con ECG in corso di validità